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L'Avvenire, sul caso del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri



2 novembre 2013

​ L'intervento del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per richiamare l’attenzione dell’amministrazione penitenziaria sul caso di Giulia Ligresti, detenuta in carcerazione preventiva e a rischio di ricaduta anoressica, merita una valutazione alla luce delle regole di etica pubblica che devono presiedere al funzionamento di una democrazia liberale consolidata.
Il dato oggettivo da cui partire è l’intervento del ministro a sostegno di una privata cittadina, sua conoscente, o conoscente di conoscenti: di tale intervento conosciamo il contenuto, visto che, come spesso accade, in violazione della legge e dell’articolo 15 della Costituzione, un’intercettazione effettuata della conversazione del ministro è stata anticipata su un quotidiano. Tale intervento ha un contenuto di rassicurazione nei confronti di un parente della detenuta.
Siamo davanti a un favoritismo per una persona amica del ministro? E per quale motivo questa persona dovrebbe essere trattata in maniera diversa dai molti che subiscono angherie analoghe e non hanno i soldi, il potere, le relazioni della famiglia Ligresti? Il problema merita senza dubbio di essere posto, perché l’eguaglianza (quella formale, «davanti alla legge», nel senso – liberale – di diritto ad un pari trattamento da parte degli organi esecutivi e giudiziari) non può certo essere presa alla leggera.Il ministro ha già fatto sapere – e ne riferirà al Parlamento – che di interventi di questo tipo per persone in carcere conosciute e sconosciute al grande pubblico ne ha fatti diversi in questi mesi. Ma si può già dire che la stimabilissima attenzione, persino umanamente appassionata, di Anna Maria Cancellieri al tema delle condizioni dei carcerati non è un mistero: sono proprio le cronache dei giornali ad averne dato a più riprese ampia testimonianza .
Tuttavia, il problema dell’eguaglianza si pone, e sarà certo verificato nella sede propria. Concentrandosi solo su questo punto, vi è però il rischio di non cogliere l’essenza della questione. La quale sta invece in questi termini: intervenendo a favore di Giulia Ligresti, il ministro Cancellieri ha chiesto che fosse concesso alla persona detenuta ciò che – per la nostra legge – non le spettava o, al contrario, ha chiesto di valutare se le potesse essere riconosciuto ciò che era dovuto in quel caso specifico? Fra le due ipotesi passa l’enorme differenza che vi è fra un privilegio e un diritto, cioè fra due concetti che per il costituzionalismo liberale sono radicalmente antitetici.


Per rispondere a questa domanda, oltre al principio della dignità umana dei detenuti, si deve invocare la vexata quaestio dell’abuso della carcerazione preventiva, che è oggetto di dibattito anche in questi giorni (magari muovendo da un dato: in Italia il 30% della popolazione carceraria è composto da detenuti in carcerazione preventiva, contro il 15% nel Regno Unito). La signora Ligresti, infatti, non era in carcere per espiare una sentenza passata in giudicato, ma era in attesa di giudizio. Essa, dunque, per la nostra Costituzione era, ed è, presunta non colpevole. E il ricorso alla carcerazione preventiva – che l’articolo 13 della Costituzione italiana circonda di accurate garanzie, per lo più svuotate oggi dall’assetto organizzativo della magistratura italiana e dalla "cultura delle manette" che alberga presso certi giudici e pm – dovrebbe essere l’eccezione e non la regola e dovrebbe essere usata come mezzo di ultima istanza, sussidiario rispetto ad altre misure cautelari, ove ritenute necessarie.Sappiamo però tutti che nella realtà non è così. Ma il problema all’origine del caso Ligresti-Cancellieri sta proprio in questo. Un Paese civile si interrogherebbe anzitutto sull’appropriatezza dell’uso della custodia cautelare in questo caso, chiedendosi se essa fosse necessaria o se invece non fosse utilizzata, come troppo spesso accade, per fare pressione sull’indagata. Rifletterebbe con attenzione su altri casi simili, fra cui, di recente, quello che ha riguardato il fondatore di Fastweb, Silvio Scaglia (il 19 ottobre – «La violata innocenza» – ne ha scritto su questa stessa prima pagina Giuseppe Anzani). E questo non perché in questi casi sono in gioco nomi potenti, ma perché è a partire da casi celebri che si giudicano – e si cambiano – le giurisprudenze e le prassi.Invece accade che un quotidiano italiano, nel pubblicare una intercettazione illegalmente ottenuta, trascuri del tutto questo essenziale problema e chieda le dimissioni del ministro. Se poi si considera che quel quotidiano è in prima fila nella battaglia del fondamentalismo costituzionale, che si oppone a ogni riforma in nome della mitica "costituzione più bella del mondo", viene da chiedersi se di tale concezione della Costituzione facciano ancora parte i diritti di libertà fondamentali (libertà personale e di corrispondenza) che proprio la Carta del 1947 (il suo testo scritto, non le riletture sessantottarde di essa) mette all’inizio dei diritti e doveri dei cittadini (e che sono il titolo di legittimazione della stessa Costituzione, almeno se si resta nel quadro culturale delineato dall’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789). Fortunatamente il ministro Cancellieri dimostra di conoscere la Costituzione meglio di certi settori della grande stampa e di alcuni cultori (in toga e no) delle manette facili. Anche perché basta un po’ di umano buon senso.

Marco Olivetti

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