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“Incontrare l’inatteso“ di Giuseppe Forlai edita dalle Paoline



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“Incontrare l’inatteso“ di Giuseppe Forlai edita dalle Paoline

Un libro che richiama il pensiero di Jung e del teologo-psicologo Anselm Grun e che ci invita a riscoprire un cristianesimo dal basso e cioè partendo in profondità dalle nostre ferite da portare all’azione guaritrice del Cristo per incontrare anche quelle degli altri senza scappare. Solo questo percorso ci fa fare un’autentica esperienza di fede che altrimenti rimane in superficie, ci lascia insoddisfatti e sterili, capaci di belle dichiarazioni senza far seguire l’autentica condivisione del dolore e della gioia con Dio e con gli altri
Il libro di Giuseppe Forlai mostra al lettore un itinerario di fede molto concreto e soprattutto calato nella ferialità della vita. Il cammino dell’uomo alla ricerca di Dio è, secondo l’autore, un cammino di un uomo nascosto a se stesso per raggiungere un Dio nascosto, lontano e desideroso di farsi raggiungere laddove nessuno avrebbe mai pensato di trovarlo. Racconta padre Forlai, teologo mariano alla Gregoriana di Roma: “Ecco la novità cristiana: il Dio lontano si fa prossimo nei luoghi dove noi non lo cercheremmo mai a motivo del disprezzo e del rancore che spesso proviamo nei confronti della nostra solita e maledetta quotidianità… In effetti finché non rivolgo un sguardo benevolo al giorno che inizia, senza rimandare aspettative ed emozioni al fine settimana, non potrò accorgermi del Dio lontano che bussa alla porta di casa.Sorridere al sole che sorge non vuol dire essere ingenui, ma ostinati nel voler gustare fino in fondo anche i piccoli segnali di bene nascosti nelle pieghe delle ventiquattro ore.”

L’incontro con il Dio lontano e nascosto non avviene nel rumore o nella fretta ma nel silenzio, perché solo in esso puoi incontrare inaspettatamente anche te stesso. Puoi entrare nella stanza più buia, nella parte ombra, direbbero gli psicologi, in quella parte che può essere illuminata solo da Cristo.

Giuseppe Forlai racconta di un incontro con un detenuto del carcere di Regina Coeli che era finito in prigione per aver picchiato il padre cercando di difendere la madre. “Eppure – spiega Forlai (al detenuto) – il più delle volte la stanza buia è l’angolo della casa che parla più di noi, e che oggi ci fa essere così come siamo, nel bene e nel male. E se agli altri possiamo nasconderne l’esistenza, Dio non diviene realmente vicino finché non lo facciamo entrare là, in quel piccolo metro quadro dell’anima davanti al quale ci vergogniamo e ci fermiamo attoniti, impotenti e tristi.”

La parola che illumina nasce dal silenzio come il fulmine dalla nube. La parola del ladrone pentito, che la tradizione orientale chiama San Dismas, nasce dal riconoscere Gesù come Figlio di Dio e quindi dallo stare in silenziosa comunione con Lui. L’altra parola, quella del ladrone impenitente, nasce dall’aggressività e dalla disperazione producendo una specie di invito-comando, “Salva te stesso”, mostrando tutta la filosofia demoniaca dell’autosufficienza.

Giuseppe Forlai mostra quindi l’epifania di Gesù, non nelle circostanze solenni ma in quelle più inaspettate, dove solo chi, con umiltà, ha gli occhi per vedere e le orecchie per udire può riconoscerlo veramente.

L’autore conclude il capitolo intitolato “Dove non lo cercheresti mai” con queste parole: “…Dal posto vergognoso della croce (anche di quella che ognuno di noi, chi più chi meno, porta ogni giorno) a una persona indegna di rispetto umano, Gesù fa la promessa più bella che un uomo possa udire dalla bocca del suo Dio: “Oggi ti porto con me”! Ed è proprio così: dal posto più inaspettato e vergognoso, che è la nostra stanza più buia, Cristo vuol passare per far entrare la luce della Promessa”.
Giuseppe Forlai è un autore che mi ha particolarmente impressionato per le sue idee veramente illuminate circa la fede e in particolare del modo in cui bisogna cercarla e trovarla. Egli, in un passaggio del libro, dice: “La fede non è un vestito preconfezionato da indossare quando ci si sente puliti e sicuri di sé, bensì uno stare davanti al Signore con tutta la propria storia, bella o brutta che sia, rivolgendo domande salutari e ben calibrate, domande mie, non di altri, non sentite al bar e ripetute come oracoli.”

Giuseppe Forlai mi ricorda molto padre Ernesto Balducci, una delle menti più illuminate del ventesimo secolo, “il prete meno pretesco che si possa incontrare” come lo definì Sergio Zavoli, la cui più profonda aspirazione era di non essere altrimenti che un uomo fra gli uomini. Infatti Forlai si è chiesto, nella sua introduzione, “come tirar giù dal cielo un Dio spesso taciturno che, non contento del suo silenzio, ha reso muto anche me, troppe volte incapace di consolare o dire la parola giusta. Non ho niente da recriminare nei confronti del Padre celeste, devo solo imparare a ringraziarlo per avermi aiutato a comprendere che non ho il potere di risolvere i problemi degli altri. E poi il mondo l’ha già salvato Lui… L’importante alla fin fine è avere la pazienza di farsi prossimo a qualcuno…”
CARLO MAFERA

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