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FATMAN … il nome dato alla bomba atomica, di Carlo Mafera



NEWS FROM ROME

Autore: carlomafera

Mafera Carlo Nasce a Milazzo (ME) il 7 giugno del 1957, è laureato in scienze politiche con indirizzo storico. Vive a Roma, è impiegato presso un Ente Pubblico. Carlo è giornalista della Free Lance International Press. Ha frequentato il corso di giornalismo alla Luiss di Roma (biennale 1988-89), ed il corso di aggiornamento per giornalisti presso la Pontificia Università della Santa Croce, nel 2009. Ha anche partecipato alla scuola di teologia per laici "Ecclesia Mater" collegata all'Università Lateranense dal 2004 al 2007. Ha collaborato con LaPerfettaLetizia quotidiano cattolico on line.

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IL DIBATTITO ANCORA APERTO CIRCA L’USO DELLA BOMBA ATOMICA
Ma, al di là del pur interessante approfondimento è che il mondo non fu più lo stesso dopo il 6 agosto 1945 e la visione del fungo atomico con le migliaia di persone morte subito dopo lo scoppio e le ulteriori nei mesi e negli anni successivi, incisero in modo talmente forte nella coscienza collettiva da cambiare il modo di condurre la politica internazionale
Intorno al ruolo che i bombardamenti atomici svolsero nell’epilogo della seconda guerra mondiale, si sono aperti molti dibattiti che lasciano ancora la questione aperta.
Secondo alcuni prevale l’opinione che le bombe di Hiroshima e Nagasaki servirono ad anticipare la fine della guerra, risparmiando la vita di milioni di soldati e civili che sarebbero morti durante la prevista invasione del Giappone. Altre correnti di pensiero sostengono invece che comunque tali bombardamenti furono dei veri e propri crimini di guerra, tesi a fare pressione sul governo giapponese per determinare la resa finale.
I sostenitori del bombardamento affermarono che esisteva una grande difficoltà di dialogo e di negoziazione con gli alti gradi militari giapponesi contrari a qualsiasi trattativa, sebbene la classe dirigente civile fosse disposta ad un accordo già dal gennaio del 1945, cioè poco prima dell’invasione delle Filippine e di Luzon. Il Giappone avrebbe potuto avviare dei negoziati di pace solo con il consenso unanime del governo che allora era monopolizzato dall’Esercito e dalla Marina Imperiale. I militari credevano ancora che il Giappone potesse ottenere una resa più dignitosa infliggendo sempre più perdite alle forze nemiche. Ma era evidente che si trattava di una pia illusione e un atteggiamento che avrebbe condotto ad un costo altissimo, soprattutto in termini di vite umane. Soltanto otto settimane prima della resa finale, nella famosa battaglia di Okinawa più di 120.000 giapponesi perirono insieme a 18.000 statunitensi. Confrontando le cifre, si può constatare come in quella occasione, morirono più persone che non in entrambe le esplosioni nucleari (almeno nelle loro fasi iniziali). Poter pensare ad una resa senza l’uso dell’atomica, secondo molti esperti del settore, era impensabile soprattutto per un motivo specifico : la forte tradizione di orgoglio e onore che si ispirava al codice dei Samurai per il quale si sarebbe dovuto combattere fino all’ultimo uomo. Paradossalmente, si può affermare che il partito della pace giapponese fu aiutato dalle esplosioni nucleari, per imporsi alla irremovibilità degli ufficiali della Marina e dell’Esercito. Anche il fondatore della Sony, ex ufficiale della Marina ebbe ad affermare che fu l’apocalittica devastazione della bomba atomica a convincere gli irriducibili ufficiali del governo giapponese ad accettare la pace e non i bombardamenti convenzionali dei B-29.
Questi ultimi non erano stati meno devastanti, anzi avevano causato complessivamente più vittime. Infatti nel bombardamento su Tokio del marzo del 1945 perirono ben 100.000 persone e forse anche in modo più cruento in quanto l’uso delle bombe incendiarie al napalm diedero la morte ustionando le vittime.
Altri argomenti a favore dell’uso dell’atomica furono rilevati nell’alto costo di vite umane dovuto alla guerra in corso. Infatti, in tutta l’Asia morivano 200.000 non combattenti ogni mese. Inoltre il blocco sottomarino, le operazioni di minamento e le previste incursioni militari contro le ferrovie giapponesi avrebbero potuto creare un , maggior numero di vittime causando malnutrizione, epidemie e carestie. Così anche nel versante statunitense, le previsioni degli esperti militari, stimavano che circa mezzo milione di soldati sarebbero morti nell’invasione di Kiushu prevista per il novembre 1945 e nel successivo sbarco presso Tokio. Queste valutazioni erano considerate sottostimate da parte di altri consiglieri militari che prendevano in considerazione l’attesa rabbiosa resistenza da parte dei civili giapponesi già addestrati ad una fanatica lotta partigiana. Inoltre la bomba atomica determinò la liberazione di molti prigionieri nei campi di concentramento nipponici. Infatti 200mila olandesi e 400mila indonesiani ottennero immediatamente la libertà e soprattutto ebbero fine le inaudite atrocità contro milioni di civili perpetrate dalle truppe del Sol levante. Altri storici hanno ipotizzato anche il desiderio degli Stati Uniti di far finire la guerra al più presto per ridurre le probabili conquiste sovietiche nei territori che erano sotto l’egemonia giapponese.
E’ giusto anche mettere in evidenza le opinioni contrarie all’impiego della bomba atomica. Alcuni scienziati si espressero in tal senso dichiarando che gli Stati Uniti non dovevano essere i primi ad usare l’arma nucleare dal momento che la Germania era stata ormai sconfitta ed il progetto per cui era nata la sua realizzazione, aveva il solo fine di contrastare il corrispettivo programma atomico del regime nazista.
Il primo ad opporsi fu Albert Einstein che si rese conto, forse un po’ in ritardo, del devastante potere distruttivo dell’atomica. Qualche scienziato pensava di usare la bomba solo a scopo dimostrativo e cioè senza fare vittime, sganciandola in una zona disabitata del Giappone. Doveva solo essere un ammonimento teso a provocare la resa ma qualcuno sostenne che ciò poteva ottenere l’effetto contrario.
I più alti ufficiali degli Stati Uniti e cioè i generali, Dwight Eisenhower, Douglas MacArthur, l’ammiraglio William Leahy, il generale Carl Spaatz, erano tutti contrari all’uso della bomba atomica tanto che Eisenhower scrisse nelle sue memorie “ che il Giappone era già sconfitto e che sganciare la bomba era completamente non necessario…. E che il ….paese doveva evitare di sconvolgere l’opinione pubblica mondiale con l’uso di un’arma il cui impiego era…. non più obbligatorio come misura per salvare vite americane”. Secondo altre fonti, si sosteneva che il Giappone aveva cercato di arrendersi già da due mesi prima del fatidico 6 agosto, ma erano, come si è detto precedentemente, solo alcuni diplomatici favorevoli ad una resa incondizionata mentre i capi dell’esercito erano già impegnati ad organizzare una resistenza accanita sull’isola di Kiushu.
Altri critici nei confronti dell’uso della bomba, sostenevano che gli Stati Uniti dovevano attendere l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica contro il Giappone per valutarne gli effetti. Infatti l’8 agosto l’Armata Rossa lanciò l’offensiva contro l’Impero nipponico e ciò sarebbe potuto essere sufficiente a convincere il “partito della guerra” giapponese ad accettare la resa. Infatti, secondo l’opinione dei maggiori storici giapponesi, furono proprio le rapide e devastanti vittorie della Russia in Manciuria nei giorni successivi la dichiarazione di guerra, a spingere il Giappone ad arrendersi il 15 agosto 1945 e non i bombardamenti atomici.
In ogni caso, il giudizio morale della Chiesa e in particolare di quella americana, fu categorico e cioè che le esplosioni nucleari su Hiroshima e Nagasaki erano moralmente indifendibili.
Sta di fatto che il mondo non fu più lo stesso dopo il 6 agosto 1945 e la visione del fungo atomico con le migliaia di persone morte subito dopo lo scoppio e le ulteriori nei mesi e negli anni successivi, incisero in modo talmente forte nella coscienza collettiva da cambiare il modo di condurre la politica internazionale, mobilitando tutte le menti più nobili del panorama politico, culturale e religioso al fine di scongiurare una nuova esplosione. La paura della distruzione totale del pianeta fece si che la bomba atomica non venne più usata come profeticamente recitava il Cenotafio del Parco della Pace di Hiroshima : “Riposate in pace, perché questo sbaglio non sarà ripetuto”. Tra gli uomini più impegnati a rendere concreto e reale questo messaggio ci furono Gandhi e il nostro Giorgio La Pira.Dei veri profeti di pace che operarono nel periodo della guerra fredda. L’uno propugnando il celebre sistema della “non violenza” e l’altro con l’arma del Vangelo. Nell’onda lunga del terrore creato dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, ci voleva un pensiero forte che contrastasse l’angoscia del possibile annullamento totale del nostro pianeta.
Giorgio La Pira formulò, nel modo più completo, il suo pensiero nel messaggio che inviò a Krusciov il 17 novembre del 1963. La Pira scrisse : “Siamo ormai nel crinale apocalittico della Storia : nell’un versante c’è la distruzione totale della terra e dell’intera famiglia dei popoli che la abitano; nell’altro versante c’è la millenaria fioritura carica di pace, di civiltà, di fraternità e di bellezza” e più avanti egli continua “Per andare verso il versante della fioritura bisogna accettare il metodo indicato dal profeta Isaia : trasformare i cannoni in aratri e i missili e le bombe in astronavi e non esercitarsi più alle armi, non uccidere ma amare”. Infine Giorgio La Pira conclude così il suo messaggio “ <Ciò esige una generale revisione dei fini e dei metodi della teoria politica e della azione politica : esige l’abbandono – perché ormai fallita – della metodologia e pratica di Machiavelli e l’assunzione della sola metodologia e pratica veramente costruttiva sulla terra e in cielo : quella dell’Evangelo “ama l’altro popolo come il tuo”>. Da quel momento, questo fu il discorso cardine sul quale egli impostò tutti i suoi successivi interventi cercando consensi presso i leader politici più in vista del tempo, presso gli scienziati, i teologi e i pontefici.
I tempi erano maturi per un accordo tra i potenti della terra e questi discorsi aleggiavano numerosi negli ambienti culturali e religiosi e certamente incisero notevolmente. Infatti Kennedy e Krusciov firmarono nel 1963 un importante accordo nucleare (uno dei primi di una lunga serie tra Usa e Urss ) e a Giorgio La Pira sembrò come “il primo dei sei giorni della creazione” e cioè l’inizio di una storia completamente nuova che avrebbe lasciato alle spalle ogni eredità del passato.


CARLO MAFERA



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