Fonte Web
Carlo Mafera
Aprire i centri commerciali anche di domenica, come qualcuno ha voluto, non ha contribuito a ridurre le difficoltà economiche e neppure a rispondere alla mancanza di lavoro. Senza contare che il bene di consumo crea altresì rabbia e risentimento.
Il centro commerciale è diventato da qualche anno a questa parte il vero protagonista del Regno futuro, vera antitesi del Regno di Dio e territorio indiscusso del principe di questo mondo (Lucifero). Forse egli si chiama cosi perché porta la “luce”, ma non quella dell’anima bensì quella che sollecita e istiga a consumare sempre più. Il centro commerciale è infatti una sorta di paese dei balocchi dove regna sovrano il dio-consumo sganciato da vere esigenze esistenziali. È un “non luogo” che si erge minaccioso oramai in qualsiasi periferia di qualsiasi grande e piccola città. Noi, poveri consumatori, ci sentiamo sempre in una condizione di sudditanza psicologica, sempre inadeguati di fronte al nuovo “3×2″ o di fronte al nuovo piano tariffario di telefonia mobile. Ci rendiamo conto subito, una volta entrati in questo “antro” simile a quello di Polifemo (il ciclope aveva un occhio solo ad indicare che conosceva e vedeva soltanto la dimensione materiale), che non saremo mai adeguati e non saremo mai abbastanza uguali ai modelli che la società dello spettacolo ci propone. Le merci, che fanno bella mostra, come specchietti per le allodole, fanno promesse di libertà, mai mantenute, e come cantava il grande Lucio Battisti sono “come un gaio cesto di amore che amor non è mai”, riferendosi ad un altro tipo di merce.
Aprire poi i centri commerciali anche a Natale, come qualcuno ha voluto fare, non ha contribuito a ridurre le difficoltà economiche e neppure a rispondere alla mancanza di lavoro. Lo dicono gli esperti del settore. Questa apertura colpisce invece il Natale quale sintesi di un’esperienza unica di un’umanità fatta d’incontro tra volti, di relazioni, di solidarietà ai più fragili, di linguaggi della tenerezza. Si spera invece che il prossimo Natale infonda nel cuore della Politica il valore del Bene comune, che lo annaffi di luce e di perseveranza perché la nostra società ritrovi la forza di essere solidale con chi non possiede nulla. E si auspica quindi lavoro e pane per i giovani, perché sono loro oggi i poveri che bussano alla porta del Natale di noi adulti, interpellando la nostra responsabilità e il nostro dovere di aiutarli ad avere un futuro dignitoso, sicuro e benedetto, perché hanno il diritto ad una realizzazione personale. Non è acquistando per sé che si ottiene gioia perché è solo quello che si dona quaggiù, è ciò che sarà il tesoro da ritrovare poi nei cieli! La ricchezza impoverisce. La Povertà arricchisce! E’questo il vero miracolo che si deve cercare : il rinnovamento per recuperare il senso dell’essenzialità e della sobrietà e anche il gusto del vivere, ricordando che la pace e la giustizia crescono nella misura in cui si donano. Non dobbiamo farci intrappolare dalla logica della superficialità che si trova nella corsa all’acquisto nei centri commerciali , ma cerchiamo insieme di armonizzare nella nostra società il dare ed il ricevere, senza rincorrere beni futili ed effimeri.
Infatti il bene di consumo, proposto come una sorta di panacea contro il mal di vivere, delude immediatamente il consumatore. I beni di consumo, che accendono emozioni mediocri che si spengono subito dopo, creano risentimento sociale perché ci sono quelli che possono accedervi facilmente, e altri, gli esclusi, che si sentono in una condizione di inferiorità, perché hanno difficoltà a venirne in possesso. Sembra che la realizzazione di sé passi attraverso il raggiungimento di questa “autonomia” o meglio di questa ambita proprietà di beni-simbolo. Si crea una sorta di “lotta di classe” e l’inclusione nel mondo di chi non deve farsi troppo i conti in tasca diventa una sorta di “diritto” per il quale chi si oppone diventa un nemico da combattere. La constatazione che ad alcuni è permesso ciò che ad altri è negato per un privilegio economico è una cosa intollerabile e crea risentimento. Per superare questa situazione di conflitto indotta dai mass-media e superare questo paradosso inaccettabile, bisognerebbe smascherare questo cortocircuito tra l’attribuzione ai beni di una valenza esistenziale (che non hanno) e i limiti che il sistema produttivo e comunicativo incontra nel fornire ai consumatori risposte autenticamente esistenziali attraverso le merci. Insomma, bisognerebbe far cadere dal piedistallo, nel quale lo abbiamo innalzato, l’idolo del bene di consumo come dispensatore di benessere. Quando lo avremo fatto cadere, non prestandogli più attenzione, sarà lui, insieme a chi lo gestisce, a piangere come un bambino abbandonato.
Carlo Mafera
Commenti
Posta un commento